Recettori del gusto amaro regolano la grelina con effetti su fame e svuotamento gastrico

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 12 febbraio 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Della grelina, ormone della fame, sono note le proprietà gastroprocinetiche ed altri aspetti della sua interessante fisiologia, ma non si sa quasi nulla dei fattori che controllano la sua secrezione da parte delle cellule gastriche.

La scoperta che i recettori per il sapore amaro (T2R) e le due proteine gustative, α-gustducina e α-transducina, sono espressi nel tratto gastroenterico e sono implicati nella risposta chemorecettiva ai nutrienti, ha fatto ipotizzare un rapporto fra questo sistema di segnalazione e la secrezione dell’ormone. Sara Janssen e collaboratori del Department of Pathophysiology, Translational Research Center for Gastrointestinal Disorders, Catholic University of Leuven (Lovanio, Belgio), hanno studiato gli effetti degli agonisti dei recettori per l’amaro T2R, per verificare se incidono su due ordini di processi fisiologicamente correlati: 1) rilascio di grelina, via α-gustducina, e 2) assunzione di cibo svuotamento gastrico mediante il rilascio di grelina (Han Y., et al. Bitter taste receptors and α-gustducin regulate the secretion of ghrelin with functional effects on food intake and gastric emptying. Proceedings of the National Academy of Science USA 108 (5), 2094-2099, 2011).

La grelina, peptide scoperto da Masayasu Kojima e colleghi nel 1999[1], è codificata dallo stesso gene della obestatina[2] ed espressa nelle cellule P/D1 del fondo gastrico umano, nelle cellule epsilon del pancreas e nei neuroni del nucleo arcuato dell’ipotalamo, dai quali è impiegata per stimolare la secrezione dell’ormone della crescita (GH o STH) da parte delle specifiche cellule dell’ipofisi anteriore. Numerosi recettori per la grelina[3] sono presenti sui neuroni del nucleo arcuato e del nucleo ipotalamico laterale, tradizionalmente considerato insieme con il nucleo perifornicale un centro della fame. Le evidenze sperimentali hanno indicato la grelina di provenienza pancreatica come principale responsabile dell’aumento del desiderio di cibo.

Si tende a considerare il ruolo fisologico della grelina in opposizione all’azione della leptina che, secreta dal tessuto adiposo, induce sazietà[4]. Tuttavia, lo spettro dei processi noti cui prende parte è in costante espansione e la comprensione del suo specifico apporto alle singole funzioni richiederà ancora molto studio. Basti pensare che è stata implicata nell’apprendimento, nell’adattamento cognitivo ai mutamenti ambientali e in funzioni neurotrofiche, in particolare nell’ippocampo. Anche i meccanismi molecolari dei suoi effetti fisiologici sono ancora oggetto di studio e, se è nota l’azione nel nucleo arcuato sulla popolazione neuronica che rilascia il peptide oressigeno Y ed è modulata da leptina e insulina, ancora molto c’è da accertare su questo processo e su altri meccanismi[5].

Ma, veniamo al lavoro condotto all’Università Cattolica di Lovanio dal gruppo di Sara Janssen.

Nello stomaco del topo si riconoscono due popolazioni di cellule che rilasciano grelina:

a) cellule contenenti octanoil- e desoctanoil-grelina e che risultano co-localizzate con α-gustducina e α-transducina;

b) cellule che legano i coloranti per la desoctanoil-grelina.

La sperimentazione ha fatto rilevare che l’infusione mediante sondino gastrico di T2R-agonisti produceva un netto aumento dei livelli plasmatici di octanoil-grelina nei topi geneticamente naturali (wild type), mentre nei ceppi gust-/-  l’incremento era decisamente minore.

 La somministrazione intragastrica di T2R-agonisti aumentava la quantità di cibo assunto dai roditori a genotipo normale nei 30 minuti immediatamente successivi all’infusione. Al contrario, nei topi gust-/-, così come in quelli knockout per i recettori della grelina, l’effetto di aumento della fame non si riscontrava.

I ricercatori hanno poi rilevato, nei neuroni ipotalamici dei topi a genotipo naturale trattati con i T2R-agonisti, l’aumentata espressione dell’mRNA del peptide agouti-relato durante la mezz’ora di crescita del desiderio alimentare. Nel ceppo gust-/- questo aumento di espressione non si aveva.

Nei topi non modificati geneticamente, il temporaneo incremento del cibo assunto era seguito da un periodo protratto, di circa 4 ore, durante il quale si assisteva ad un marcato decremento del desiderio alimentare che appariva in stretta correlazione con una inibizione dello svuotamento gastrico.

La Janssen e i suoi colleghi hanno allora studiato questo ritardo del passaggio del contenuto dello stomaco nell’intestino tenue, ed hanno accertato che l’inibizione poteva essere parzialmente contrastata dalla somministrazione di grelina e non era mediata da colecistochinina e GLP-1. La sperimentazione ha evidenziato che il ritardato svuotamento gastrico era conseguenza dell’effetto inibitorio diretto degli agonisti dei recettori per il sapore amaro sulla contrattilità gastrica.

In conclusione possiamo notare che, nel ricco panorama di studi condotti in questo settore, il lavoro del team dell’Università di Lovanio è l’unico che fornisce un’evidenza funzionale del fatto che i recettori del gusto amaro stimolano la secrezione di grelina.

La conferma e l’approfondimento degli esiti di questo studio potrebbero portare a definire modalità di modulazione dei livelli di grelina endogena per il trattamento di disturbi del peso e della motilità gastrointestinale.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza ed invita alla lettura delle recensioni di lavori originali di argomento connesso che compaiono nella sezione “Note e Notizie”.

 

Nicole Cardon 

BM&L-12 febbraio 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] La scoperta del peptide (Nature 402 (6762), 656-660, 1999), nel corso di un journal club organizzato da studiosi poi divenuti membri dell’attuale commissione scientifica della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, fu presentata ai ricercatori italiani da Giuseppe Perrella, che chiarì l’origine del nome dalla radice sanscrita o proto-indoeuropea ghre da cui provengono le serie lessicali che portano all’inglese grew, growth e in latino (si tenga conto che la lettera “acca” non era muta ma pronunciata come una “c” dura talvolta aspirata) a cresco, crescere  da cui l’italiano crescita. Si legge, talvolta, che ghrelin derivi dall’acronimo growth hormon-releasing + lin (suffisso comune degli ormoni pepetidici), in realtà si tratta di una fortunata coincidenza non preordinata dagli inventori del termine.

[2] Ormone peptidico descritto nel 2005 come molecola che riduce l’appetito alimentare, ma sul quale non vi sono ancora certezze fisiologiche (Perrella G., Appunti di Neurochimica. BM&L-Italia, Firenze 2006).

[3] Sono recettori accoppiati a proteine G, in passato indicati come GHS (da growth hormone secretagogue receptor). I recettori della grelina sembrano avere una distribuzione più ampia di quanto inizialmente ipotizzato, e sono stati reperiti sia sui corpi cellulari che sui terminali degli afferenti vagali al tratto gastro-enterico. Numerosi recettori per la grelina, oltre che nell’ipotalamo sono stati individuati nella sostanza nera del mesencefalo e sembrano favorire il rilascio di dopamina nigrostriatale, ossia del contingente di fibre che degenera nella malattia di Parkinson. Su questa base si è ipotizzato un impiego terapeutico in questa malattia neurodegenerativa.

[4] Il semplicistico schematismo che vuole la grelina ormone della fame e la leptina ormone della sazietà, non deve ingannare circa la reale complessità della regolazione dell’appetito nei mammiferi: nelle pazienti affette da anoressia mentale (anoressia nervosa secondo il DSM) i livelli di grelina plasmatica sono alti rispetto a quelli delle persone in buona salute ed anche rispetto alle persone magre per costituzione; al contrario negli obesi i livelli di grelina sono bassi. Seppure con livelli alti di grelina, somministrando ulteriormente l’ormone come farmaco nelle anoressiche, si aveva un transitorio aumento della quantità di cibo assunta. La soppressione del sonno porta all’obesità aumentando i livelli di grelina e riducendo la sintesi di leptina.

[5] E’ possibile che la grelina intervenga in molte vie biochimiche, visto che, ad esempio, è stato accertato che è in grado di attivare l’isoforma endoteliale della NO-sintetasi in una via che dipende da varie chinasi, fra cui Akt.