La
perdita di memoria per inibizione di PKMζ non è permanente
FOLCO M. ALBERTI
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 29 gennaio 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Lo
studio della neurobiologia molecolare del consolidamento
mnemonico ha recentemente
focalizzato l’attenzione sulla protein kinase M zeta (PKMζ)[1]
per la conservazione dei ricordi, in quanto il suo difetto sembra comportare la
perdita di risposte apprese. Ryan G. Parsons e Michael Davis del Department of
Psychiatry and Behavioral Science, Emory University, Atlanta (Georgia, USA),
hanno voluto verificare se l’amnesia indotta dall’inibizione funzionale della PKMζ
è permanente, come ritenuto da molti (Ryan
G. Parsons & Michael Davis Temporary disruption of
fear-potentiated startle following PMKζ inhibition in the amygdala. Nature Neuroscience [Advance online
publication doi:10.1038/nn2745], 2011).
E’
stata prodotta una grande mole di lavoro nel tentativo di accertare gli eventi cellulari che hanno luogo immediatamente dopo l’apprendimento e sono
determinanti per consolidare in una memoria di lungo termine quanto sembra
acquisito per effetto dell’esperienza di un stimolo in una data circostanza;
tuttavia i risultati non sembrano proporzionati allo sforzo compiuto. Infatti,
manca ancora un quadro, sia pur generico, dei processi essenziali che
consentono il permanere di forme dell’attività neuronica corrispondenti al
concetto di rappresentazione della memoria[2].
Studi pregressi hanno accertato che, eliminando l’attività di PKMζ, si preclude il mantenimento della fase tardiva del potenziamento di
lungo termine (late-phase
long-term potentiation, LP-LTP), dal quale sembrano dipendere i
processi di consolidamento. Dunque, secondo evidenze sperimentali più volte
verificate, il consolidarsi delle memorie dipenderebbe dall’azione di questa
chinasi, resa persistentemente attiva.
A
sostegno di tale deduzione, vi sono i risultati di tutti quei lavori che hanno
accertato la perdita di memorie connesse a prestazioni comportamentali in
compiti specifici, a seguito dell’eliminazione di PKMζ o della sua attività. In questi studi, però, nella maggior
parte degli esperimenti si valutava la memoria subito dopo l’iniezione di un
farmaco, ma non si verificavano gli effetti dopo un tempo lungo. Non si può
escludere, quindi, che la perdita di memoria dovuta al blocco della chinasi non
sia permanente e che l’apparente cancellazione della traccia appresa non sia
altro che la perdita della capacità di recupero (rievocazione), o sia dovuta ad
un’interruzione dei processi che consentono all’animale da esperimento di
produrre le risposte comportamentali dalle quali si deduce la presenza della
memoria.
In
altri studi è stata valutata la memoria ad una distanza di tempo più lunga
dall’infusione, ma, nella maggior parte dei casi, gli autori di questi lavori hanno
impiegato il testing ripetuto, una
procedura che può aver inciso profondamente sulla stabilità della memoria.
Se
il blocco dell’attività di PKMζ realmente è in grado di produrre una
reversione dei processi che mantengono la memoria, la prestazione dovrebbe
essere compromessa in ogni fase temporale dopo l’infusione: a breve, medio e
lungo termine. Per verificare questo assunto, Parsons e Davis hanno infuso nell’amigdala,
a vari intervalli temporali, l’inibitore ZIP (zeta pseudosubstrate inhibitory peptide) di PKMζ prima di
mettere alla prova la memoria per risposte esprimenti paura condizionata per
via olfattiva.
Lo
studio ha dunque analizzato la ritenzione mnemonica a vari intervalli, dopo
il blocco di PKMζ da parte di ZIP, per verificare se la perdita risultasse
completa e permanente.
La
sperimentazione, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del lavoro
originale, ha chiaramente evidenziato una perdita delle manifestazioni di paura
condizionata quando la prova seguiva di poco l’infusione dell’inibitore, ma,
quando si sottoponevano a verifica intervalli di ritenzione più lunghi,
l’effetto di ZIP svaniva e ritornavano le manifestazioni comportamentali della paura
appresa.
I
risultati di questo studio suggeriscono che l’inibizione di PKMζ non
cancella la memoria, ma temporaneamente ne compromette
l’espressione. La
prosecuzione della sperimentazione, presumibilmente al termine di un percorso
che si prevede lungo, chiarirà l’esatto ruolo di PKMζ nell’ambito dei
processi che determinano il consolidamento e la ritenzione delle memorie.
L’autore della nota invita alla lettura delle recensioni di
lavori originali di argomento connesso che compaiono nella sezione “Note e
Notizie”.
[1] Si veda, per il ruolo svolto da questo enzima, l’ottima trattazione di Diane Richmond nella sua presentazione del lavoro di Shema, Shacktor e Dudai del 2007, in “Note e Notizie 20-10-07 – Un enzima ippocampale per la memoria corticale”.
[2] G. Perrella, Note sulle basi molecolari e cellulari della memoria, BM&L-Italia, Firenze 2010 (relazione all’incontro del gruppo strutturale di BM&L sui meccanismi della memoria, 24 ottobre 2010).