Dislessia:
individuati sistemi neurali per una prognosi precisa
DIANE RICHMOND
NOTE E
NOTIZIE - Anno IX - 15 gennaio 2011.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
La
dislessia dello sviluppo, che si rileva nel 5-17% dei bambini
in età scolare, è una difficoltà persistente nell’apprendimento della lettura
non dovuta a mancanza di motivazione, a deficit sensoriali o cognitivi, o a un
insegnamento inadeguato. E’ noto che all’incirca un quinto degli affetti dal
disturbo riesce a compensare entro l’età adulta, sviluppando abilità apparentemente
nella norma, anche se i meccanismi neurali che consentono questo compenso sono
in gran parte ignoti. Osservazioni analitiche hanno rivelato che, in realtà,
anche molti di coloro che si ritiene abbiano raggiunto una capacità di lettura
identica a quella dei normodotati - soprattutto perché riescono a servirsi
efficientemente delle proprie abilità per comprendere
ed apprendere testi – presentano
ancora difetti nei processi di decodifica verbografica che, di fatto, richiedono
un impegno superiore a quello del lettore medio.
Allo
scopo di prevedere l’esito nel lungo termine dell’acquisizione delle abilità di
lettura dei dislessici, è stata studiata la base neurale dei miglioramenti
ottenuti con l’esercizio, in un lavoro condotto da Fumiko Hoeft e colleghi
della Stanford Univesity School of Medicine (Center for Interdisciplinary Brain
Sciences Research, Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, Department
of Radiology), del MIT, della University of Jyväskylä (Finlandia) e del Boston
College in Chestnut Hill. Lo studio ha prodotto un risultato di notevole
interesse, sia per la definizione di un orientamento neuroprognostico
affidabile che per una migliore conoscenza delle basi neurali del disturbo (Hoeft F., et al.
Neural
systems predicting long-term outcome in dyslexia. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 108 (1), 361-366, 2011).
I
fattori che potenzialmente influenzano l’esito dell’apprendimento delle abilità
di lettura da parte dei dislessici sono numerosi, fra cui la qualità degli
interventi e degli strumenti didattici, e le caratteristiche neuropsicologiche
e comportamentali[1]. Numerosi
studi hanno esaminato elementi demografici, neuropsicologici e comportamentali
in grado di prevedere la dislessia dello sviluppo e la risposta di breve
termine agli interventi, ma le evidenze scientifiche relative alla
compensazione di lungo termine del deficit nel corso dello
sviluppo sono scarsissime. Fumiko Hoeft e collaboratori si sono chiesti se gli indici di funzione cerebrale, misurati mediante la risonanza
magnetica funzionale (functional magnetic
resonance imaging o fMRI), e la connettività
strutturale dell’encefalo,
misurata mediante DTI (diffusion tensor
imaging), possano consentire di prevedere miglioramenti di lungo termine nelle
abilità di lettura nella dislessia dell’età evolutiva.
La maggior parte degli studi basati su neuroimaging funzionale ha avuto per
oggetto l’identificazione dei correlati neurali del disturbo, ma ha anche
fornito elementi relativi ai sistemi implicati nel recupero del deficit. In
particolare, è risultato nel corso di varie prove di lettura, e specialmente in
quelle richiedenti l’analisi fonologica dello scritto, che le regioni parieto-temporali
ed occipito-temporali di sinistra, di bambini ed adulti affetti da dislessia,
presentavano ipoattivazione. In molti altri esperimenti è stata riscontrata nei
dislessici la frequente iperattivazione del giro
frontale inferiore di
destra e di sinistra. L’interpretazione prevalente considera questa iperattività
come l’indice di processi volti a compensare i difetti delle aree corticali
posteriori di sinistra implicate nell’elaborazione fonologica ed ortografica. A
sostegno di questa ipotesi vi è il riscontro, nei bambini dislessici, di un
incremento funzionale della parte ventrale del giro frontale inferiore col
passare degli anni. E’ interessante notare che questo incremento funzionale,
evidente nei bambini dislessici in trattamento, non è stato riscontrato nei
normodotati. Su questa base, si è ritenuto possibile che i progressi
nell’apprendimento della lettura compiuti dai dislessici dipendano dal
reclutamento atipico e compensatorio di aree del giro frontale inferiore.
Lo
studio prospettico longitudinale, condotto dal gruppo di Hoeft, ha valutato se
il maggiore impegno dei sistemi neuronici del giro frontale inferiore possa
costituire un indice affidabile per prevedere l’esito di lungo termine degli
esercizi di lettura. In particolare, per 2 anni e mezzo sono stati studiati,
mediante fMRI e DTI, i correlati neurali dei miglioramenti nell’apprendimento
della lettura di 25 bambini dislessici e 20 bambini normodotati, confrontando i
dati di misura con quelli ottenuti mediante il testing comportamentale convenzionale.
Nessuna
delle misure comportamentali impiegate, inclusi i tests di lettura e linguaggio standardizzati più impiegati al
mondo, si sono rivelate in grado di prevedere l’esito reale dell’apprendimento.
Al contrario, due riscontri neurali sono risultati indici prognostici altamente affidabili:
1)
l’elevata attivazione della corteccia
prefrontale di destra
durante prove di lettura che richiedono consapevolezza fonologica;
2)
l’organizzazione della sostanza bianca del fascicolo
longitudinale superiore
(incluso il fascicolo arcuato).
L’analisi
MVPA (multivariate pattern analysis)
di queste due misure cerebrali, mediante SVM (support vector machine) e validazione crociata, ha consentito di
prevedere con un grado di certezza notevolmente superiore al caso (72% di precisione)
quale bambino avrebbe migliorato le proprie prestazioni di lettura e quale non
sarebbe riuscito a fare progressi. Le valutazioni convenzionali, invece, non
sono andate oltre la stima casuale. Ma il dato più rilevante è da mettersi in
rapporto con la base neurale dell’elaborazione
fonologica: la MPVA
del pattern di attivazione del cervello intero, durante il processo di decodifica
della parola scritta, è stata in grado di prevedere quali bambini dislessici
avrebbero migliorato le abilità di lettura dopo due anni e mezzo, con un grado
di precisione superiore al 90%.
L’insieme
dei dati ottenuti in questo studio, per il cui dettaglio si rimanda alla
lettura del lavoro originale, identifica nella corteccia
prefrontale di destra
la sede di processi che appaiono critici per il miglioramento della lettura nei
dislessici e differenti da quelli attivi nei normodotati. Su tali basi è
possibile mettere a punto procedure cliniche per una neuroprognosi più precisa ed affidabile delle attuali previsioni basate
su misure comportamentali.
L’autrice della nota ringrazia il professor Giuseppe
Perrella, Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia,
con il quale ha discusso l’argomento trattato, e invita alla lettura delle
recensioni di lavori originali di argomento connesso nella sezione “Note e
Notizie”.
[1] E’ rilevante la presenza di deficit multipli: ad esempio, difficoltà contemporanee nella denominazione rapida e nell’elaborazione fonologica.