La disfunzione frontocingolata nella depressione come biomarker del trattamento

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno VIII - 11 dicembre 2010.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Gli stati di disagio e di sofferenza psichica che rientrano nei vari quadri diagnostici della depressione vanno da condizioni esistenziali di inerzia e passività, che si stenta a ricondurre a disturbo psichico, fino a vissuti di sofferenza estrema con un’acuzie intensamente sintomatica o con una cronicità che progressivamente riduce i livelli di prestazione, integrazione ed equilibrio di processi cognitivi, affettivi ed emotivi, compromettendo spesso anche l’efficienza fisiologica dei rapporti fra il sistema nervoso, il sistema endocrino, il sistema immunitario e tutti gli apparati che sono sotto il controllo delle sintesi funzionali operate da questi sistemi. Gli scompensi fisiopatologici dei pazienti depressi, descritti da oltre un secolo in psichiatria, hanno trovato negli ultimi decenni una spiegazione in precisi correlati organici esprimenti alterazioni molecolari, cellulari e sistemiche. Ma la depressione, lungi dall’essere caratterizzata solo da squilibri nell’attività e nell’integrazione di sistemi, ha una sua definita base patologica in un danno cerebrale, documentato soprattutto mediante lo studio tomografico dell’encefalo con metodiche di risonanza magnetica nucleare. Uno dei primi segni di danno organico in pazienti con sintomatologia depressiva è stato messo in evidenza da Bremner e colleghi che, documentando le lesioni nel Disturbo post-traumatico da stress (PTSD), descrissero la riduzione del volume dell’ippocampo e di altre aree cerebrali nella depressione da stress cronico.

Oggi si tende a cercare correlati neurofunzionali sia per la diagnosi che per la valutazione di efficacia delle terapie. L’aumento di attività della parte rostrale della corteccia cingolata anteriore (rACC, da rostral anterior cingulate cortex) sta emergendo come un promettente indice della risposta al trattamento, anche se si sa ancora poco sui meccanismi alla base di questa manifestazione funzionale e non è stata ancora sottoposta ad una adeguata verifica sperimentale l’affidabilità di questa correlazione. Per questo motivo, Diego Pizzagalli del Center for Depression, Anxiety, and Stress Research & Neuroimaging Center, McLean Hospital, Harvard Medical School, Belmont, ha rivisto la letteratura recente alla luce dei suoi studi, traendone alcune interessanti conclusioni, la cui validità sarà posta al vaglio delle ricerche future (Diego A. Pizzagalli, Frontocingulate Dysfunction in Depression: Toward Biomarkers of Treatment Response. Neuropsychopharmacology 36, 183-206, 2011).

Innanzitutto, Pizzagalli presenta una meta-analisi dei risultati dei lavori recenti più rilevanti, mediante la quale dimostra la fondatezza della relazione fra l’attività della rACC a riposo e la risposta al trattamento.

In secondo luogo, lo studioso di Harvard propone che la rACC giochi un ruolo chiave per il risultato dei trattamenti antidepressivi in virtù della sua posizione centrale nella rete di default. In particolare, l’elevata attività a riposo di rACC determinerebbe un miglior esito delle terapie sostenendo l’elaborazione adattativa autoreferenziale e contribuendo a ricalibrare i rapporti fra la rete di default e una rete legata all’esecuzione di compiti (task-positive network) che comprende la corteccia prefrontale dorsolaterale e le regioni dorsali della circonvoluzione del cingolo, implicate nel controllo cognitivo.

Infine, Pizzagalli sostiene la sua ipotesi mediante argomenti tratti da un’esaustiva rassegna di dati neuropsicologici, elettrofisiologici e morfofunzionali (neuroimaging) che illustrano la disfunzione frontocingolata nella depressione.

La rassegna si conclude con una discussione sui limiti del lavoro corrente e sulle prospettive future.

 

L’autrice della nota, che ha discusso l’argomento trattato con i professori Giuseppe Perrella e Giovanni Rossi, oltre che con la dottoressa Giovanna Rezzoni, invita alla lettura delle note di argomento connesso nella sezione “NOTE E NOTIZIE”.

 

                                                                                                                      Ludovica R. Poggi

BM&L- 11 dicembre 2010

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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