Cosa
dobbiamo agli atlanti di Allen del cervello
A cura di LORENZO L. BORGIA
NOTE E
NOTIZIE - Anno VIII - 20 novembre 2010.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo: SINTESI
DI UNA RELAZIONE]
L’interesse
suscitato dalla nota pubblicata la scorsa settimana (Note
e Notizie 13-11-10 L’Allen Human Brain Atlas va alla radice della mente e dei
suoi disturbi), alla quale si
rimanda per il significato del progetto dell’Allen Institute for Brain Science
e per i dati di questa impresa scientifica, ha indotto molti soci e visitatori
del sito a chiedere quali siano stati i risultati sperimentali ottenuti grazie
agli Allen Brain Atlases, e quale potrà essere nel prossimo futuro il ruolo di
questo straordinario catalogo di correlazione fra geni ed aree funzionali di
espressione encefalica. A questa richiesta, i professori Nicole
Cardon e Giuseppe Perrella hanno risposto con una relazione tenuta lo scorso 18
novembre a Roma, che qui riproponiamo in una sintesi dei suoi passi salienti.
Prima
di rispondere alle richieste pervenute alla Società Nazionale di Neuroscienze
di pubblicare un elenco dei risultati ottenuti grazie agli atlanti dell’Allen
Institute for Brain Science, è necessario precisare che quasi tutte le nuove
acquisizioni si devono all’Allen Mouse Brain Atlas, perché la pubblicazione online dell’atlante umano è troppo
recente perché vi possa essere stato un tempo sufficiente a portare a termine i
lavori avviati sulla base dei suoi dati.
Il
progetto finanziato da Paul G. Allen, che ha avuto come tappa preliminare la
realizzazione di un atlante tridimensionale delle aree di espressione dei geni
nel cervello di topo in vista dell’attuazione della stessa impresa nell’uomo,
ha fornito subito un dato rilevante ed imprevisto: i geni espressi nel cervello
murino sono almeno l’80% dell’intero
genoma, e non circa il
60% come stimato da alcuni fra gli studi più rigorosi ed autorevoli. Una
percentuale tanto più alta si spiega con una sensibilità notevolmente maggiore
nel rilevare gli mRNA.
Fra
le conseguenze pratiche di questo risultato, una considerazione interessa la
medicina clinica: vi è un’alta probabilità che farmaci concepiti esclusivamente
per interagire con proteine di organi periferici possano interferire con
l’attività di proteine del cervello[1].
La
mappa topografica tridimensionale dell’espressione genica ha fornito un
criterio nuovo per la ripartizione morfo-funzionale delle principali strutture
che costituiscono l’encefalo, in qualche caso producendo risultati
sorprendenti.
L’ippocampo, struttura fondamentale per la memoria di breve termine e
l’apprendimento, ha rivelato al suo interno vari
compartimenti che
nettamente distinguono piccoli domini cellulari.
La
circonvoluzione dell’ippocampo del topo è distinta, in base ad una notevole
messe di dati che trovano quotidiane conferme negli studi in corso, in quattro
aree morfo-funzionali; ebbene, una sola di queste aree risulta costituita da
ben 9 campi di espressione genica nettamente individuati
e separati. Ancora non si è riusciti a caratterizzare in termini
neurofisiologici queste fini suddivisioni, ma è prevedibile che una grande mole
di lavoro sperimentale sarà rivisitata nei prossimi anni, perché l’ippocampo è
fra le aree in assoluto più studiate del cervello. L’esame delle nuove
compartimentazioni genetico-funzionali del tessuto ippocampale certamente
consentirà di fare progressi nella comprensione dei processi molecolari e
cellulari alla base delle funzioni note. Non è escluso che da questo nuovo
orizzonte potranno venire suggerimenti efficaci per la prevenzione e il
trattamento di alcuni tipi di disturbi della memoria.
La
prima scoperta fatta grazie alla topografia dell’espressione genica nell’encefalo
murino, oltre ad aver stabilito un primato di velocità, in quanto pubblicata
nel 2006 a breve distanza dal completamento dell’atlante, rimane uno dei
risultati più interessanti finora ottenuti. Il neurogenetista Andreas
Papassotiropoulos, specializzato in neurogenomica, e Dietrich Stephan,
ricercatore in genetica umana[2],
osservando i patterns di espressione
dei geni dell’ippocampo di topo, hanno ipotizzato che uno di questi geni
potesse avere un ruolo nella memoria di breve termine umana. In tal modo hanno
identificato KIBRA, un gene le cui varianti hanno mostrato strette
correlazioni con le prestazioni in prove classiche di memoria, come ricordare una
lista di parole a distanza di 5 minuti e di 24 ore. I soggetti, studiati
durante gli esperimenti con metodiche di imaging
funzionale, mostravano differenze di attivazione nell’ippocampo coerenti con i risultati
delle prove, fornendo così indicazioni sulle differenze fisiologiche
condizionate dagli alleli di questo gene.
Questo
risultato costituisce un primo importante passo sulla lunga via che porterà a
chiarire l’intricata complessità delle radici genetiche delle differenze
cognitive fra esseri umani.
Ma
i contributi più importanti per la fisiologia, l’Allen Mouse Brain Atlas li ha
forniti grazie alla visualizzazione contemporanea dei territori di espressione
di più geni. Un esempio molto significativo riguarda i meccanismi cerebrali del
controllo di fame e sazietà.
Da
decenni la neurofisiologia ha riconosciuto delle sedi specifiche per la
regolazione del comportamento alimentare nell’ipotalamo, indicando nei nuclei
ipotalamico laterale e perifornicale la sede dei processi responsabili del
desiderio di cibo e nel nucleo ventromediale la sede dei processi generatori
del senso di sazietà. Col proseguire degli studi, il quadro degli elementi
conosciuti, fra cui le aree cerebrali interessate, i processi di regolazione
della soglia di glucosio definita nel cervello (glucostato ipotalamico) e gli ormoni che intervengono nel gioco
degli equilibri, è divenuto sempre più complesso, ma la ricerca ha continuato a
focalizzarsi su singoli elementi, implicitamente supponendo l’esistenza di un
comparto di accensione e uno di spegnimento dell’appetito, sia in termini di
territori neurali sia in termini molecolari. Infatti, molti studi si sono
occupati del prodotto di un singolo gene, la grelina, quale ormone della fame. Allo stesso modo si sono finora
studiati i meccanismi della sete.
Nel
2008, basandosi sull’Allen Mouse Brain Atlas, Pawel Olszewski e colleghi hanno
accertato l’esistenza di una realtà molto più complessa, che presto modificherà
l’impostazione del capitolo sulla neurofisiologia del comportamento alimentare
dei trattati e dei manuali didattici. E’ risultato che, nella regolazione della
fame e della sazietà, è implicata l’espressione di 42 geni in otto aree diverse del cervello. All’interno
dei nuclei definiti “centri della fame” sono stati reperiti schemi di espressione mista di geni che riducono ed accrescono l’appetito, pertanto le
nozioni ricavate dalla distruzione selettiva di aree ipotalamiche in gatti,
topi ed altri animali, sono da rivedere e, quasi certamente, l’assegnazione
della singola funzione di attivatore o interruttore del bisogno di cibo da
parte di un nucleo è un errore.
Il
lavoro di Olszewski, fra l’altro, spiega l’inefficacia di alcuni farmaci per la
terapia dell’obesità agenti su una singola proteina e
rende conto dell’efficacia di regimi di restrizione dietetica gestiti dalla
volontà del soggetto in condizioni psicologiche favorevoli, che sono in grado
di indurre estese modificazioni nei patterns
di espressione genica del cervello e, più in generale, dell’organismo.
E’
lecito attendersi, sulla base degli atlanti di Allen, una migliore comprensione
dei fattori di predisposizione all’anoressia
mentale (o anoressia nervosa, F50.0 del DSM-IV-TR e
307.1 dell’ICD-10), della sua patogenesi e della sua fisiopatologia cerebrale,
così come ci si attende un’accelerazione delle conoscenze sui meccanismi
molecolari dell’anoressia causata da sostanze psicotrope d’abuso. Inoltre, si
può anche osservare che i sottosistemi neuronici che prendono parte alla regolazione
della fame e della sete integrano una grande quantità di informazioni
provenienti dall’interno dell’organismo e dall’ambiente, sulla base di routines condivise con altri insiemi
funzionali e secondo processi che, verosimilmente, sono adottati per altre
funzioni in altre strutture. Per questo motivo, la comprensione dei meccanismi
che regolano il comportamento alimentare potrà fornire elementi utili alla
conoscenza di vari altri processi neurofisiologici.
L’Allen
Human Brain Atlas, presentato nel maggio 2010 e destinato ad arricchirsi e svilupparsi
negli anni a venire, rappresenta davvero un ponte high-tech fra genetica ed anatomia cerebrale che, se ha confermato
gran parte delle ripartizioni morfo-funzionali classiche, ha anche proposto
differenze ed elementi di novità di assoluto interesse. Ad esempio, la tecnica
di visualizzazione 3-D dell’espressione genica ha rivelato, come nell’Allen
Mouse Brain Atlas, all’interno di singole aree e formazioni encefaliche,
ripartizioni più fini e non prevedibili in base a tutti gli altri dati in possesso
di anatomisti, istologi, fisiologi e biologi molecolari. Si spera che queste
correlazioni aiutino a dare risposta a molti interrogativi originati dagli
studi morfologici condotti con fMRI.
Ad
esempio, le incidenze tomografiche in risonanza magnetica funzionale durante
prove percettive, suggeriscono che l’area fusiforme dei volti del lobo
temporale, che ha un ruolo importante nel riconoscimento delle persone dal
viso, è ipoattiva nei bambini affetti da autismo. Alcuni studi hanno fatto
rilevare, nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale dorsolaterale di
pazienti affetti da schizofrenia, un’iperattività che potrebbe
derivare da un deficit di neuroni regolatori inibitori. In altri studi è stato
evidenziato che in persone portatrici di alcune varianti geniche, le aree del
cervello che sono colpite da malattia di
Alzheimer sono
notevolmente iperattive durante l’esecuzione di prove di memoria; un dato che
indica una possibilità per prevedere il rischio di sviluppo della
neurodegenerazione.
Questi
tre esempi, scelti fra gli oggetti di studio di ricerche attualmente in corso
basate sull’Allen Human Brain Atlas, rendono evidente quanto possa essere importante
decifrare le basi biologiche di questi reperti morfo-funzionali, non solo per
mettere a punto più efficaci approcci terapeutici, ma anche, in molti casi, per
effettuare screening preventivi che
potranno grandemente migliorare la qualità della vita delle persone a rischio.
Nei
prossimi anni, come ci ha riferito la professoressa Richmond che segue il
progetto per conto della nostra società scientifica, si disporrà di dati
provenienti da altri cervelli umani e sarà possibile valutare quali
caratteristiche neuroanatomiche e neurochimiche sono costanti e quali sono
maggiormente soggette a variazione. Un altro obiettivo è rappresentato dall’arricchimento
dei dati sull’espressione genica nell’ipotalamo e nell’ippocampo, fino a
raggiungere il grado di dettaglio cellulare ottenuto per l’atlante murino. Il
completamento del lavoro programmato, con il grado di dettaglio sperato dagli
autori, è previsto per il 2013.
In
conclusione, non possiamo tralasciare la menzione di due altre risorse che
l’Allen Institute for Brain Science sta elaborando con l’ormai consueto rigore
scientifico: 1) l’Allen Developing Mouse Brain Atlas, consistente nelle mappe
che documentano il cambiamento dell’espressione genica durante lo sviluppo,
dalla fase embrionale all’età adulta; 2) Le mappe di piccola scala, come quelle
dedicate all’analisi genica del glioblastoma.
Anche
se per molto tempo il valore dell’atlante sarà legato all’utilità per la
ricerca sulla patologia e su funzioni quali attenzione, memoria, apprendimento,
coordinazione motoria, fame e sete, i protagonisti della ricerca presso l’Allen
Institute sperano di poter dare un giorno un contributo anche alla comprensione
delle basi neurobiologiche della felicità.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Lau C., et al.
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Koester S. E. & Insel T. R. Mouse Maps of Gene
Expression in the Brain. Genome Biology 8 (5), 212, 2007.
Il testo qui presentato è una sintesi curata da Lorenzo L.
Borgia ed ottenuta principalmente eliminando i dettagli più tecnici e
particolareggiati, così come le digressioni esplicative. Coerentemente, non
sono stati riportati i riferimenti bibliografici ai lavori menzionati nelle
parti escluse.