Basi cerebrali della psicopatia, un disturbo ignorato dal DSM

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno VIII - 13 novembre 2010.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE]

 

 

(Terza Parte)

 

Il primo esperimento sottoponeva dei detenuti, una parte dei quali erano psicopatici, ad una prova di riconoscimento di parole e non-parole. Queste ultime sono forme lessicali di struttura simile ai vocaboli realmente esistenti in una data lingua, ma prive di significato; ad esempio, per la lingua italiana: malla, niona, rillia, serqueta. Ai partecipanti veniva chiesto di premere un tasto all’apparire su uno schermo di una parola di senso compiuto e di ignorare la non-parola. Le prestazioni degli psicopatici furono identiche a quelle degli altri detenuti.

La prova successiva mirava a verificare l’esistenza di un’influenza della costituzione neuropsichica degli psicopatici sull’elaborazione delle parole. Studiando mediante rilievi elettrofisiologici i potenziali evocati corticali durante le prove, i ricercatori proponevano tre classi di vocaboli[1]: neutri, come varco (gate), positivi come latte (milk), negativi come cicatrice (scar). Da studi precedenti era noto che le parole in grado di evocare, attraverso il loro valore semantico, una qualità affettivo-emotiva nella risposta corticale, producevano effetti caratteristici e non rilevabili con le parole neutre. I detenuti che fungevano da gruppo di controllo, quando vedevano delle parole cariche di senso affettivo-emotivo, presentavano una variazione distintiva del tracciato elettrofunzionale dell’encefalo e un tempo di reazione nel premere il tasto molto più breve. Al contrario, gli psicopatici non premevano il tasto più rapidamente nel vedere apparire “sangue” di quanto lo premessero nel vedere “casa”. Ma, ciò che risultava più evidente e rilevante, era che gli psicopatici presentavano nel tracciato una configurazione d’onda[2] del tutto peculiare e pressoché identica per tutte le parole. Era evidente un comportamento funzionale del cervello, nella risposta a stimoli verbali, specifico e diverso da quello della media della popolazione generale.

Lo studio della comprensione del linguaggio da parte degli psicopatici ha aperto anche un’importante riflessione sulla loro presunta superiorità intellettiva. E’ noto che le neuroscienze cognitive attribuiscono un notevole valore alla comprensione delle metafore, perché la forma metaforica, esplicitamente costruita o inconsapevolmente acquisita ed impiegata per abitudine, costituisce una parte molto importante della cognizione linguistica e, in ultima analisi, dell’intelligenza comunicativa. Alcuni studi hanno evidenziato una difficoltà superiore alla media nella comprensione delle metafore da parte degli psicopatici. Ad esempio, una frase come l’amore è un antidoto per i mali del mondo, alla quale si attribuisce un valore positivo, è giudicata di senso negativo dagli psicopatici con una frequenza molto più alta della media[3].

Questa difficoltà, anche se non particolarmente marcata ed apparentemente non costante, ha indotto alcuni[4] a chiedersi se non vi siano lievi ma più generali problemi cognitivi, in particolare nei processi che consentono l’astrazione. Una conferma indiretta di un tale limite venne da uno studio condotto da Kiehl e collaboratori nel 1999. La sperimentazione mostrò che l’identificazione di parole astratte quali amore, inganno, fiducia, consacrazione, curiosità, faceva registrare molti più errori negli psicopatici che nei normali.

Un’altra importante differenza nelle prestazioni neurocognitive delle persone psicopatiche è emersa da uno studio di Joseph P. Newman dell’Università di Wisconsin-Madison, nel quale, impiegando un paradigma sperimentale basato sul gioco d’azzardo, è stata valutata la risposta cognitivo-comportamentale indotta dalla vincita e dalla perdita.

La prova era basata su un gioco computerizzato in cui il giocatore aveva virtualmente a disposizione un mazzo di 100 carte coperte da girare: per ogni figura (re, regina e fante) si sarebbe ottenuto un punto, per ogni altra carta si sarebbe perso un punto. Il punteggio era presentato come un guadagno o una perdita monetaria e si diceva ai partecipanti che avrebbero potuto smettere in qualsiasi momento, a proprio piacimento. Il gioco era truccato in modo che inizialmente si sarebbe quasi sempre vinto ma, progressivamente, le vincite si sarebbero ridotte: infatti, nella prima decina vi erano 9 figure, nella seconda 8, nella terza 7 e così via.

I volontari che fungevano da controllo normale, dopo aver guadagnato facilmente tanti punti, si accorgevano del progressivo incremento delle perdite e, nella maggior parte dei casi, dopo circa 50 carte, ossia quando le perdite potevano annullare i nuovi guadagni, smettevano di giocare. Gli psicopatici, invece, continuavano. Come se non riuscissero a rendersi conto che le probabilità di vincita si riducevano progressivamente, andavano avanti fino a quando il pacchetto di carte era quasi finito e le vincite svanite.

Come spiegare questa condotta di gioco, che apparentemente sembra dovuta all’incapacità di modulare il comportamento sulla base dell’esperienza in atto? Superficialmente l’atteggiamento potrebbe essere accostato a quello dei giocatori compulsivi, ma in questo caso la condizione è evidentemente diversa. Che cosa impedisce agli psicopatici di essere accorti, nel rilevare il dato del progressivo aumento di probabilità di errore, e un po’ furbi, tanto da ritirarsi per tempo, come saprebbe fare anche un bambino? Si potrebbe dire che la scarsa sensibilità emotiva riduce l’effetto di incentivo delle vincite e quello di deterrente delle perdite; tuttavia, una tale condizione dovrebbe facilitare uno stato complessivo di razionale lucidità e, dunque, una condotta di gioco saggia e avveduta e non un atteggiamento ottusamente impenetrabile al dato di esperienza[5].

Joseph Newman ha interpretato l’apparente insensibilità come la conseguenza di un difetto funzionale nel sistema neurocognitivo dell’attenzione: quando i processi attentivi sono impegnati a seguire un pensiero o un obiettivo, il cervello dello psicopatico non riesce ad acquisire nuove informazioni. La tesi, ancora da confermare, si basa su altre evidenze che lo stesso gruppo di studio di Wisconsin-Madison ha ottenuto in anni recenti.

Sono numerose le ricerche del passato, ma anche di epoca recente, che hanno registrato l’iporeattività psicofisica degli psicopatici, ossia un bassa entità di reazione intesa soprattutto come scarsa o assente risposta emozionale e neurovegetativa misurabile. E’ noto che la vista di immagini raccapriccianti quali fotografie di volti mutilati e la percezione di odori sgradevoli come il lezzo nauseabondo di composti prodotti dalla decomposizione di materiale organico, sono in grado di indurre una risposta del sistema nervoso autonomo che si traduce in una stimolazione adrenergica periferica rilevabile strumentalmente, se non talvolta macroscopicamente, come attivazione delle ghiandole sudoripare del palmo della mano. Ebbene, questa reazione che, sia pur in misura variabile, è costantemente presente in condizioni fisiologiche, è risultata assente o minima negli psicopatici.

Newman e i suoi collaboratori hanno recentemente studiato approfonditamente le reazioni delle persone psicopatiche, proponendo una revisione critica degli studi precedenti. Hanno riprogettato la sperimentazione, verificando che potevano aversi risultati diversi: in condizioni di saggio appropriate, che possiamo accostare per rigore metodologico a quelle della ricerca di base su animali, gli psicopatici presentavano risposte fisiologiche normali a stimoli sgradevoli, incluse le scosse elettriche. La mancata risposta neurovegetativa si ripresentava quando l’attenzione dei soggetti era attratta e focalizzata su una questione che assorbiva il loro interesse. Il “distrattore” dell’attenzione può essere costituito da un pensiero estraneo alla circostanza presente o anche conseguente proprio all’esperienza in corso. In altri termini, la focalizzazione su aspetti della prova sperimentale potrebbe sottrarre base neurale ai processi che normalmente consentono all’informazione di giungere alle strutture cerebrali che danno l’avvio alle risposte emozionali e neurovegetative periferiche. In tal modo si sarebbe determinata l’iporeattività neurovegetativa registrata in tanti studi precedenti.

Questo difetto del sistema attenzionale spiegherebbe l’apparente refrattarietà all’informazione derivante dal crescere delle perdite nell’esperimento del gioco d’azzardo precedentemente citato: la concentrazione sul meccanismo del gioco è sufficiente a rendere impossibile la percezione dei segnali costituiti dal crescere degli errori.

Il complesso della sperimentazione formalizzata e di decenni di esperienza psichiatrica, concordemente indicano che lo psicopatico, una volta che abbia definito un obiettivo, tende a comportarsi come il passeggero di un aereo, che non può scendere fino a quando non sia giunto a destinazione.

Su tali basi si comprende come, nello psicopatico, l’associarsi all’impulsività della perdita di recettività per effetto di una focalizzazione attentiva, possa essere all’origine di orrende storie criminologiche, come quella rappresentata nel film In Cold Blood di Richard Broooks, tratto da un libro di Truman Capote su un fatto di cronaca: due criminali che per una notte intera sono impegnati a torturare una famiglia fino a massacrarla, ciechi e sordi alle informazioni che potrebbero far cessare quella violenza assurda e immotivata. I due assassini, nella realtà, erano presumibilmente degli psicopatici focalizzati sul massacro ed in grado di percepire come segnale di stop solo il completamento del compito criminale. Nel massacro del Circeo accadde qualcosa di simile, e la superstite, purtroppo di recente deceduta per altre cause, si salvò solo perché si finse morta.

 

[continua]

 

L’autrice della nota ringrazia il presidente della Società Nazionale di Neuroscienze che le ha consentito di apportare tagli alla sua relazione, riassunta nel presente testo.

 

A cura di Giovanna Rezzoni

BM&L- 13 novembre 2010

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] La connotazione qualitativa in positivi, negativi e neutri, era stata desunta da altri lavori e rappresenta un’evidenza consolidata da risultati sempre concordanti in tal senso.

[2] Il tracciato dei soggetti non affetti da psicopatia faceva registrare una configurazione di questo tipo: dopo una piccola oscillazione, si aveva un’area di picco negativa, profonda e relativamente estesa (I fase), seguita da una breve risalita (II fase) e poi da una nuova area negativa, poco profonda ma di maggiore durata della prima (III fase). Negli psicopatici si riscontrava una configurazione in due fasi: la prima, corrispondente all’area di picco negativa delle persone sane, ma molto meno profonda; la seconda, costituita da una grande onda positiva, con una rapida salita e una lenta discesa che rimane confinata nella parte di segno positivo [Nota del Relatore].

[3] Si veda in Kent A. Kiehl & Joshua W. Buckholtz, Inside the Mind of a Psychopath, p. 25, Sci. Am. MIND 21 (4), 22-29, 2010.

 

[4] Negli anni Novanta, il professor Perrella ha auspicato uno studio a tutto campo della cognizione degli psicopatici, impiegando sia i tests neuropsicologici classici sia quella diagnostica cognitiva assistita da computer che ha avuto il suo prototipo nelle batterie di test-training dei coniugi Gianutsos, introdotte in Italia da Luciano Lugeschi [Nota della curatrice della sintesi].

[5] Questo comportamento nel gioco d’azzardo fa pensare ad una certa rigidità rilevata negli psicopatici rispetto al cambio di strategia in una situazione logica di vita reale o, semplicemente, ad una variazione di programma in seguito ad un imprevisto. E’ difficile dire quanto dipenda da un’alterazione delle informazioni in entrata e quanto da difficoltà in uscita, relative ai processi decisionali. E’ opinione dell’autore della relazione, condivisa dalla curatrice di questo testo, che una difficoltà nel generalizzare potrebbe derivare dal fatto che gli psicopatici non costituiscano una classe del tutto omogenea in senso neurocognitivo [Nota della curatrice della sintesi].