Basi cerebrali della psicopatia, un disturbo ignorato dal DSM

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno VIII - 6 novembre 2010.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE]

 

 

(Seconda Parte)

 

Probabilmente era più raro che si compissero errori di questo genere trenta o quarant’anni fa, quando la condizione mentale dello psicopatico era ben definita, descritta ed inclusa nelle grandi sindromi psicopatologiche, e vi erano ancora maestri di psichiatria in grado di impartire lezioni magistrali fondate su una lunga e meditata esperienza che aveva dato luogo ad una profonda e reale conoscenza delle persone portatrici del disturbo. Se tali maestri di psichiatria avessero impartito lezioni ai criminologi che operano in questi giorni, difficilmente si sarebbe giunti a trascurare evidenze solari come la pericolosità di persone che, prive della capacità di empatizzare con altri esseri umani e di provare la normale gamma degli affetti su cui si basano i legami interpersonali, sono giunte a trattare come oggetti le loro vittime, usandole, distruggendone la dignità, torturandole, massacrandole e scempiandole senza provare orrore, dispiacere o rimorso.

Kent A. Kiehl, un neuroscienziato dell’Università del Nuovo Messico che collabora al Mind Research Network[1], sulla base di un’esperienza nel campo della psicopatia non inferiore a quella dei maestri del passato, impartisce un insegnamento che, contraddicendo la tendenza corrente a negare l’esistenza di questa condizione mentale, ha preparato i suoi allievi alla comprensione di una realtà umana che oggi è interpretabile anche sulla base delle alterazioni strutturali del cervello documentate dalla diagnostica per immagini. Kiehl è solito chiedere ai suoi allievi, prima di renderli edotti su questo argomento, di intervistare un detenuto psicopatico sul quale non fornisce alcuna informazione. Regolarmente, gli studenti si convincono che quella persona affidabile, garbata, temperante, giudiziosa e ricca di buon senso, sia vittima di un errore giudiziario, probabilmente in ordine a qualche piccolo reato. Talvolta ne riferiscono con una partecipazione che tradisce una sincera simpatia. Informati circa la fedina penale dell’intervistato, che spesso include traffico di droga, rapine, lenocidio, truffe e reati contro la persona, ritornano ad intervistare il detenuto, in genere chiedendogli perché non abbia mai minimamente accennato a quelle vicende, nascondendo, di fatto, una parte notevole se non preponderante della propria vita e della propria identità sociale. Nella massima parte dei casi la risposta propone con tranquilla indifferenza, o con studiata calma, una precisa volontà di non riferire all’interlocutore di cose appartenenti ad un passato ormai rinnegato e ad una persona diversa da quella che il detenuto sostiene di essere diventato. In qualche caso, lo psicopatico non rinnega l’appartenenza all’identità responsabile delle condotte criminali, ma minimizza la portata e il senso delle accuse, cercando di convincere l’interlocutore ad assumere il suo punto di vista che non riconosce il male nelle condotte e negli atti che ha compiuto, talvolta sulla base di generiche argomentazioni giustificazioniste e normalizzanti, talaltra imbastendo discorsi filosofeggianti ispirati al relativismo etico e all’inadeguatezza di qualsiasi soggetto ad esprimere giudizi morali[2].

Memori di questa esperienza iniziale, gli allievi di Kiehl intraprendono lo studio delle persone psicopatiche con una scientifica diffidenza e con una particolare attenzione al modo in cui queste tendono a manipolare l’ascoltatore con menzogne quasi mai gratuite, ma generalmente costruite per suggerire opinioni, indurre una particolare disposizione di giudizio o guidare l’interlocutore, a sua insaputa, su un terreno di deduzioni preordinate al fine di suffragare una tesi precostituita.

Le successive esperienze rendono poi edotti gli studenti della tendenza a ripetere le condotte incriminate, subito dopo riproponendo la distanza da quel “vecchio se stesso”, i buoni propositi o la minimizzazione del valore negativo del male compiuto.

Anche se lo studio della fisiologia mentale della psicopatia nella stragrande maggioranza dei casi si basa su individui autori di reati penali, per il progresso delle conoscenze è auspicabile un lavoro di screening che individui e consenta di studiare persone con le caratteristiche cerebrali degli psicopatici, ma che non abbiano compiuto crimini e, magari, presentino una condotta irreprensibile.

Ora, prima di introdurre i risultati degli studi di impostazione neurobiologica della psicopatia, sarà opportuno considerare in una rassegna sintetica gli elementi di maggiore interesse emersi dagli studi di osservazione del funzionamento mentale.

Una mole notevole di lavori testimonia che gli psicopatici fanno esperienza del mondo in modo diverso dalla media delle altre persone e, in generale, sembra che abbiano notevoli difficoltà nella formulazione di giudizi morali e nel contenimento delle spinte istintuali. Il modo in cui reagiscono alle emozioni,l al linguaggio e alle distrazioni sembra presentare peculiarità che a volte sono evidenti fin dall’infanzia, essendo state rilevate addirittura in bambini di 5 anni.

Gli psicopatici sembrano trascurare, non rilevare o dimenticare facilmente i segni degli stati emotivi. Uno studio di James Blair e colleghi dell’NIMH, condotto nel 2002, ha dimostrato che sono poco abili nel rilevare le emozioni, in particolare la paura nella voce di una persona che la manifesta in modo inequivocabile. Questo deficit ha riscontro nelle loro difficoltà, rispetto alla media, nell’identificare volti che esprimono paura o spavento.

Questi risultati seguono di undici anni le osservazioni derivate da un esperimento condotto nel 1991 da un gruppo di ricercatori di cui faceva parte Robert D. Hare dell’Università della British Columbia, pioniere in questo campo e mentore di Kent Kiehl. In questo lavoro risultò che gli psicopatici non coglievano le sfumature emozionali del linguaggio.

 

[continua]

 

L’autrice della nota ringrazia il presidente della Società Nazionale di Neuroscienze che le ha consentito di apportare tagli alla sua relazione, riassumendola nel presente testo.

 

Giovanna Rezzoni

BM&L- 6 novembre 2010

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Un progetto nonprofit per il miglioramento delle terapie psichiatriche.

[2] In una chiave di logica giuridica sarebbe come pretendere che la ricusazione del giudice estingua il reato.