Modelli
mentali e ragionamento umano secondo Philip Johnson-Laird
DIANE RICHMOND
NOTE E
NOTIZIE - Anno VIII - 6 novembre 2010.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori
neuroscientifici selezionati dallo staff
dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti
alla Commissione Scientifica, e
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società
Nazionale di Neuroscienze.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
La
tradizionale caratterizzazione dell’uomo quale animale ragionevole ha attraversato secoli di pensiero filosofico,
ma fino alla metà del Novecento non ha costituito un oggetto di studio
scientifico sistematico e di interesse privilegiato della psicologia. Le teorie
psicodinamiche dei processi affettivi ed emotivi focalizzate sull’inconscio e,
all’estremo opposto, gli approcci comportamentisti, a lungo hanno prevalso non
lasciando molto spazio allo studio delle facoltà alla base della razionalità
umana. Infatti, la psichiatria indagava quasi esclusivamente le alterazioni
della ragione espresse dalle costruzioni deliranti[1],
mentre la neuropsicologia esplorava la ragione indirettamente, studiando
soprattutto i rapporti fra localizzazione e funzione di processi cognitivi di
base, ossia percezione, memoria, apprendimento
e linguaggio. Una vera psicologia cognitiva delle facoltà razionali umane si
sviluppa solo a partire dalla fondazione con l’Hixon Symposium (1948) di una
nuova scienza della mente che, a partire dal 1978, fu ufficialmente definita scienza cognitiva[2]. Nata da una sintesi pluridisciplinare
che consentiva di astrarre da cervello e computer paradigmi comuni di
funzionamento intelligente in forma di algoritmi ed altre procedure, la nuova
disciplina si proponeva come un ponte fra l’invenio
della ricerca sulle basi dell’intelligenza umana e l’invento della progettazione di macchine e programmi nel campo dell’intelligenza artificiale.
Philip
Johnson-Laird[3], fra i
massimi protagonisti della ricerca in questo campo, proponendo una revisione
degli studi sul ragionamento umano aggiornata agli sviluppi più recenti,
traccia a grandi linee un mutamento di prospettiva in seno alla scienza
cognitiva, mutamento che è all’origine di importanti progressi[4]
(Philip N. Johnson-Laird, Mental models
and human reasoning. Proceedings of the
National Academy of Sciences USA 107 (43), 18243-18250, 2010).
Trent’anni
fa la maggior parte degli studiosi di scienza cognitiva e degli psicologi
cognitivisti riteneva che il ragionamento umano dipendesse da regole formali di inferenza simili a quelle di un calcolo
logico. La dimostrazione di questa ipotesi incontrò numerosi ostacoli che
portarono ad un punto di vista alternativo: il ragionamento dipende dal ravvisare
possibilità coerenti con un punto di partenza, quale una percezione del mondo, un insieme di asserti,
una memoria, o una combinazione di questi elementi.
Johnson-Laird
afferma che noi costruiamo modelli
mentali specifici per ogni possibilità e da questi deriviamo conclusioni.
Tale teoria prevede errori sistematici nel nostro ragionamento, e le evidenze
emerse dagli studi sperimentali, confermando tale previsione, forniscono un
sostegno a questo nuovo modo di concepire i processi alla base
dell’articolazione logica e dell’argomentazione interpretativa.
I
modelli mentali derivanti da possibilità coerenti con un punto di partenza non
sono sufficienti ad evitare errori logici, allora in quale facoltà possiamo
rintracciare l’espressione dell’ancoraggio che salva il fondamento corretto
dell’abilità del ragionare dagli errori derivanti da un suo un cattivo impiego?
La sperimentazione recente, secondo il padre nobile della scienza cognitiva,
dimostra che la nostra abilità di usare contro-esempi per confutare inferenze non valide fornisce un solido fondamento alla nostra razionalità.
Johnson-Laird conclude che, secondo la visione che emerge
dagli studi recenti, il ragionamento può essere visto come “il mondo illuminato
dalla nostra conoscenza, non un riarrangiamento formale di scheletri logici di
frasi.”.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per
la correzione della bozza ed invita alla lettura degli scritti di argomento
connesso che compaiono su questo sito.
[1] Si pensi agli studi di von Domarus, ripresi da Silvano Arieti, sulla paralogica caratteristica del ragionamento delirante presente in alcune forme di psicosi schizofrenica.
[2] Si riconosce all’Hixon Symposium, che ebbe luogo nel settembre del 1948 nel Campus del California Institute of Technology (CIT), il ruolo di evento fondante della nuova scienza della mente. Concepito inizialmente come un congresso volto a facilitare il dibattito interdisciplinare su come l’intelligenza controlla il comportamento, il simposio fornì delle sintesi inedite ed efficaci che avrebbero costituito una base epistemologica e pragmatica per la ricerca nei cinquant’anni seguenti. Il primo relatore, il matematico John von Neumann, sorprendendo l’uditorio, propose un parallelo estremamente puntuale ed efficace fra il cervello e il computer, ancora considerato da molti un oggetto misterioso e fantascientifico. Il matematico e neurofisiologo Warren McCulloch, che in quello stesso anno pubblicò il saggio Cybernetics, discusse il modo in cui il cervello elabora l’informazione introducendo i concetti di una nuova disciplina, la cibernetica. Fu poi la volta di Karl Lashley, neurobiologo noto per gli studi sulla memoria, che smontò il paradigma comportamentista e dimostrò l’infondatezza di un modello di cervello basato sull’arco riflesso che implicava un sistema nervoso statico, incompatibile con tutti i risultati sperimentali che avevano rivelato l’esistenza di un’organizzazione complessa e costantemente attiva. In quell’anno, Donald Hebb scriveva il memorabile The Organization of Behavior nel quale si proponevano meccanismi fisiologici, come la sinapsi hebbiana, confermati dalla sperimentazione successiva. Poi, l’incontro di matematici, filosofi della mente, neuroscienziati ante litteram, con esperti di intelligenza artificiale, linguisti e psicologi cognitivi influenzati dalle teorie chomskiane, diede effettivamente origine alla cognitive science nei decenni successivi. Convenzionalmente si indica il 1978 come l’anno in cui la scienza cognitiva si costituisce quale campo indipendente di ricerca, prendendo a riferimento la conferenza intitolata “Cognitive Science”, che si tenne in quell’anno a La Jolla, e l’articolo che apriva le pubblicazioni della prima rivista interamente dedicata alla nuova disciplina: Collins A. M., Why Cognitive Science? Cognitive Science 1, 1-3, 1978 [Nota tratta da G. Perrella, Scienza Cognitiva – saggio introduttivo e discussione critica. Cognitive Science Club, Napoli 1993].
[3] Divenuto noto in Italia, oltre la ristretta cerchia degli specialisti, come autore de La mente e il computer – introduzione alla scienza cognitiva (Il Mulino, Bologna 1990), volume tradotto dalla sua allieva italiana Patrizia Tabossi, all’epoca ricercatrice all’Università di Bologna ed autrice del fortunato volumetto Intelligenza naturale e intelligenza artificiale – introduzione alla scienza cognitiva (Il Mulino, Bologna 1988).
[4] L’abbandono delle rigide posizioni del passato, ad avviso di chi scrive, si devono anche alla pressione esercitata dalla messe di dati sperimentali prodotti dalle neuroscienze cognitive che hanno sempre più definito la forma biologica legata alla logica evoluzionistica dell’organizzazione cerebrale e delle funzioni che da questa derivano. Trent’anni fa le posizioni di Edelman e Johnson-Laird erano fra loro inconciliabili, oggi non si può dire la stessa cosa.