Efficacia di nuovi modulatori della gamma-secretasi in un modello transgenico di Alzheimer

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno VIII - 18 settembre 2010.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’approccio terapeutico tradizionale alla malattia di Alzheimer prevede l’impiego di anticolinesterasici, di agenti che influenzano la trasmissione glutammatergica, di presidi anti-infiammatori e neuroprotettivi, di statine per ridurre il sovraccarico di amiloide e di farmaci per il trattamento dei sintomi psichiatrici associati al processo neurodegenerativo. A tali misure, negli anni recenti, è stata aggiunta l’immunoterapia anti-amiloide, la terapia cellulare e vari altri trattamenti sperimentali basati sui processi patogenetici noti[1]. In generale, dopo un entusiasmo iniziale, i nuovi approcci hanno deluso le aspettative; in particolare, l’immunoterapia in topi mutanti con amiloidosi Aβ, che si era rivelata efficace e scevra da rischi negli esperimenti condotti sui modelli murini, dopo un buon esito nella Fase 1 della sperimentazione umana, ha prodotto nella Fase 2 un processo infiammatorio meningoencefalitico che in un caso ha assunto la grave forma della meningite a cellule T, determinando la sospensione della sperimentazione clinica[2].

Come è noto, la sintesi di peptidi β-amiloidi (βA) tossici (di 42-43 aa, βA-42), il cui accumulo è alla base della formazione delle placche, è il processo più studiato come potenziale bersaglio delle terapie farmacologiche. Uno dei filoni di ricerca terapeutica più promettenti si stimava fosse l’individuazione di inibitori della γ-secretasi[3] ma, dopo un iniziale entusiasmo seguito alla dimostrazione dell’efficacia apparentemente scevra da effetti tossici di alcune molecole in vivo e in vitro, emerse il rischio di gravi effetti collaterali dovuti al blocco della segnalazione legata a Notch, importante non solo nello sviluppo dei neuroblasti ma durante tutta la vita del neurone[4]. Da allora, si è cercato di individuare molecole che  interferiscono con l’enzima non legandosi ai residui di acido aspartico necessari per l’azione su Notch, ma formando un legame con un sito diverso e determinando un cambio di conformazione in grado di prevenire la catalisi necessaria per la sintesi di βA.

 Oltre 1200 nuovi e potenti modulatori della γ-secretasi, privi degli effetti indesiderati, sono stati sintetizzati da un team numeroso che include ricercatori quali Rudolph Tanzi del Massachusetts General Hospital, Department of Neurology in Charlestown, Sangram Sisodia del Center for Molecular Neurobiology, University of Chicago, e Steven Wagner del Department of Neurosciences, University of California in San Diego (Maria Z. Kounnas et al. Modulation of γ-Secretase Reduces β-Amyloid Deposition in a Transgenic Mouse Model of Alzheimer’s Disease. Neuron 67 (5), 769-780, 2010).

Il risultato della sperimentazione appare di notevole interesse. I composti di nuova sintesi sono risultati in grado di ridurre i livelli di βA-42 senza inibire il sito epsilon di clivaggio di APP, Notch o E-cad, con la generazione dei domini intracellulari di APP e Notch rispettivamente. E’ risultato che le nuove molecole determinavano anche la riduzione dei livelli di βA-40, elevando concomitantemente i livelli di βA-38 e βA-37. Su una matrice di agarosio, l’immobilizzazione di un potente modulatore della gamma secretasi recuperava Pen-2 e, ad un minor grado, PS-1 NTF da estratti cellulari.

La somministrazione quotidiana in un’unica dose giornaliera di un altro potente modulatore a topi Tg 2576, ceppo transgenico impiegato come modello sperimentale di malattia di Alzheimer, determinava la riduzione nel plasma e nel cervello dei livelli di βA-42 secondo un andamento dose-dipendente. La somministrazione cronica quotidiana portava ad una significativa riduzione degli accumuli amiloidei diffusi e delle placche neuritiche. Questi effetti sono stati rilevati in assenza di fenomeni riconducibili a Notch, quali la proliferazione intestinale di globet cells, che comunemente si osservano nell’esposizione ripetuta agli inibitori della γ-secretasi.

I risultati di questo lavoro sono senz’altro rilevanti per tutti coloro che studiano l’inibizione della γ-secretasi, ma probabilmente non porteranno allo sviluppo di farmaci in grado di modificare sensibilmente la prognosi terapeutica attuale, soprattutto in considerazione del fatto che varie forme della malattia non presentano un rapporto proporzionale fra la gravità dei sintomi e l’entità dei depositi di amiloide.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura dei numerosi scritti di argomento connesso che compaiono su questo sito.

 

Diane Richmond

BM&L-18 settembre 2010

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

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[1] L’identificazione di geni mutati o deleti nelle forme ereditarie della malattia di Alzheimer ha consentito di creare modelli artificiali della patologia in vivo e in vitro, sui quali ordinariamente si sperimenta la maggior parte delle molecole candidate al ruolo di nuovi e più efficaci mezzi di cura. I modelli sperimentali maggiormente impiegati sono quelli transgenici e quelli circoscritti al singolo gene e, fra questi, i topi BACE-/- e i transgenici APP/PS1, sono stati i primi a fornire un esempio dello straordinario impatto della riduzione di attività delle secretasi. Alcuni modelli recenti, maggiormente impiegati per studiare la patogenesi e valutare il grado di irreversibilità dei singoli processi, impiegano sistemi ad espressione condizionata o il silenziamento mediante RNAi.

[2] Lo studio dell’immunizzazione attiva è proseguito ad opera di vari gruppi di ricerca, come quello di Cynthia Lemere che impiega parti del peptide in grado di attivare solo le cellule B, scongiurando i pericoli connessi alla risposta dei linfocit T. Un filone di studi seguito da un numero maggiore di ricercatori è quello dell’immunizzazione passiva. Per ulteriori dettagli e per un inquadramento schematico dei principali filoni di ricerca terapeutica si veda, nella sezione AGGIORNAMENTI del sito, la scheda introduttiva de “La Malattia di Alzheimer: attualità nella ricerca e nuove terapie”.

[3] Gli inibitori impiegati nella sperimentazione terapeutica sono piccole molecole in grado di attraversare agevolmente la barriera emato-encefalica.

[4] Infatti, la sperimentazione clinica di uno dei primi inibitori della γ-secretasi prodotto dalla Eli-Lilly fu sospesa.